12.6.08

Russo sulla panchina


Sono stata ore sopra un disegno che prendeva, come al solito, la sua direzione da sé.
Un uomo seduto su una panchina che prima era di legno, con le travi, poi è diventata di pietra, smussata, come quelle della stazione, poi ancora di legno ma tutto di un pezzo, alla fine assomigliava al mio pianoforte.
Lui prima era una donna, poi era così austero che è diventato un russo in un cappotto lungo e teso e un colbacco in testa. Le gambe, oddio le gambe, non volevano stare ferme, prima unite come una coda di sirena poi divise da una linea, ma di una compostezza che lo faceva assomigliare a un omino tipo signor Bonaventura, e non era proprio il caso, visto l'atmosfera di gelo siberiano.

Ora porta i suoi stivaletti con le gambe vicine, e un cuore grosso in mano che ha preso freddo.
L'unica cosa di cui vado fiera sono le mani. Forse perchè è la cosa che guardo più di me.
Nodose, spigolose, ma morbide, vissute pulsanti scarabocchiate, ma lo tengono saldo quel cuore.

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