About me

"Francesca è Nina, ma solo per alcune anime sparse. 
Sta cercando di conoscersi, tra corde e arpe, timballi 
e tamburi, che suonano e stridono dentro."

Francesca Ballarini, alias Nina, è illustratrice e visual designer. Si occupa a tempo pieno di figure, e a tempo perso pure. 
Da qualche anno ha preso il nome di Ninaun po' per voce un po' per caso, un nome semplice e pieno, come una riga di inchiostro che basta per dire, e l'ha sentito subito suo.  
In questo mare naviga, e disegna i pesci che prende nella sua rete e le conchiglie che la mareggiata le porta.



***

Dove trovarla, in varie forme, nella rete:
 
Identità e ricerca | www.francescaballarini.it
Diario visivo “Io & Nina” | sinfonina.blogspot.com
Portfolio | www.behance.net/francescaballarini
 

Instagram: @ioenina
Twitter: @FrancescaNina
Tumblr: Ninopoli

Pinterest: FrancescaNina

Alcuni lavori:
www.sferisterio.it
www.elisabettaforadori.com
www.ampeleia.it

www.enologica.org


***
Visioni, got in translation - di F. Ripa

Ho sempre pensato che la cosa più dolorosa al mondo fosse l’incapacità di spiegarsi, di trasmettere agli altri, a quelli cui vogliamo bene soprattutto, ogni più piccolo dettaglio dei nostri pensieri e delle nostre sensazioni. In altre parole, ho sempre temuto di non riuscire a trovare nessuno che possedesse l’intero di me. Dopo lunghi anni in cui ho tentato di non pensare alla eventualità, col tempo sempre meno remota (e di sicuro non una mia scoperta), che in fin dei conti nessuno conosce davvero nessuno, sono giunto alla conclusione che amare qualcuno, a diversi livelli, significa anche ammettere che esisteranno sempre terreni inesplorati dell’anima in cui l’altro, per quanto tu possa amarlo, non potrà mai aprirsi un varco. E mi sono convinto che forse quei terreni oscuri ed insieme luminosissimi, devono appartenere solo a noi stessi e non devono essere necessariamente espressi, schiavi di una razionalità che trasformerebbe la comunicazione inevitabilmente nel suo contrario. Pensavo, nelle mie terrorizzate riflessioni, che non potremo mai avere la sicurezza che ciò che proviamo, in quel breve percorso malcerto che collega un ipotetico me ad un ancora più ipotetico te, non si corrompa, non vada inevitabilmente “lost in translation”, tanto per citare un bel film sul tema.

Ma mi sbagliavo. Mi sbagliavo su tutto. Il mio riflettere sull’amore era quanto di più lontano dall’amore possa esistere: innamorarsi, amare, credere e soprattutto vivere, ora lo so, sono tutte cose che hanno a che fare con il non concreto, il non certo, il non definito e tutte le litoti del genere che possono venirci in mente.

Vi chiederete cosa c’entrino i cosiddetti “fatti miei” e un discorso sull’amore con Francesca Ballarini e le sue opere: be', c’entrano. Eccome. Perchè in quei disegni c’è tutto questo: le illustrazioni di Francesca si affidano al vento, alla musica, al tempo (e al non tempo) e a quello stesso filo sottilissimo che collega l’ipotetico me all’ipotetico te. Sono intime, ma generosissime di sé; economiche nel tratto, disciplinate, eppure potentissime; sono immerse in un bianco luminoso, apparentemente vuoto, ed invece pieno di quell’amore universale che non teme le sfumature, non teme di stare in bilico come un funambolo sopra un gruppo di squaletti. Francesca non ha paura di ascoltarsi e così, anche malgrado lei stessa, le sue illustrazioni si fanno ascoltare. Non solo: ascoltano anche.

Di fronte ad uno qualunque dei suoi disegni ti senti compreso, avvolto, finalmente risolto, preso da un’emozione pervasiva che descrive perfettamente ciò che sentivi quel giorno, o quell’altro, ciò che ti faceva sentire come “imploso” e che non eri riuscito, a parole, a raccontare a nessuno. Il risultato di questo incontro tra te e Francesca, di questo cullarsi a cavallo di un’anguria, di questo abbracciarsi sotto una pioggia che “mamma mia quanto piove”, di questo raccogliere, grazie a lei, un pensiero che ormai avevi abbandonato da una parte come un vecchio ombrello è, appunto, l’amore. E l’amore, consentitemelo, è la spina dorsale dell’arte, quella vera. Mi rendo conto che risulti bislacca la descrizione di un autore mediante ossimori e litoti, ma certe cose non si possono spiegare a parole, o si esperiscono o bisogna crederci, e basta.

Perché proprio la litote o l’ossimoro per descrivere Francesca? Perché se Francesca non “dice”, non significa che taccia, se non disegna non significa che l’assenza di tratto sia assenza di contenuto. E perché l’arte di Francesca si compie nell’essere pioggia, tanta tanta tantissima pioggia, eppure anche fango e allo stesso tempo nel non essere alcuna delle due cose. In una contraddizione apparente che si risolve e giunge a noi sconvolgente, elegantissima e pura, proprio nell’essere e nel rimanere contraddittoria.

Si percepisce, dando un occhio ai suoi “scarabocchi”, alle sue immagini eleganti, che la prima ad avere l’urgenza di capire e di farsi capire, come ogni vero artista, è proprio lei: come se temesse di non essere “trovata”, anche lei come tutti noi. Ma è trasferendo all’improvviso su carta i momenti vissuti, le sensazioni che queste si fanno eterne ed eternamente vive; come se il disegno fosse paradossalmente più concreto della vita in quanto simbolico e atemporale, in quanto ladro di parole e costrutti inutili. Ed è proprio disegnando luoghi e anime senza tempo che Francesca ci consente di trovarla e soprattutto di trovare noi stessi in lei.

Dunque: arte e amore. Insieme, inscindibili. Se l’arte è vera arte e l’amore vero amore in quel malcerto viaggio che collega due elementi, siano essi due persone o una persona ed un’opera, nulla va perso, ma anzi, parafrasando il film di cui sopra, tutto è inevitabilmente e felicemente “got in traslation”.


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